Ricorso per conflitto di attribuzioni della regione  Lombardia,  in
 persona  del  presidente della giunta regionale Fiorinda Ghilardotti,
 autorizzata con delibera della  giunta  regionale  n.  39652  del  28
 luglio  1993, rappresentata a difesa degli avv.ti prof. Valerio Onida
 e Gualterio Rueca e presso quest'ultimo elettivamente domiciliata  in
 Roma,  largo  della Gancia, come da delega in calce al presente atto,
 contro il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  pro-tempore  in
 relazione  al  d.P.R.  24  dicembre  1992,  recante  "definizione dei
 livelli uniformi di assistenza sanitaria", pubblicato nella  Gazzetta
 Ufficiale n. 153 del 2 luglio 1993.
   1. - L'art. 4, primo comma, della legge 30 dicembre  1991,  n.  412
 (recante  "disposizioni in materia di finanza pubblica") demandava al
 Governo il compito di determinare, con effetto dal 1›  gennaio  1992,
 "i  livelli  di  assistenza  sanitaria da assicurare in condizioni di
 uniformita'   sul   territorio   nazionale   nonche'   gli   standard
 organizzativi  e  di  attivita'  da  utilizzare  per  il  calcolo del
 parametro capitario di finanziamento di ciascun livello assistenziale
 per l'anno 1992".
    Il provvedimento avrebbe dovuto essere adottato  d'intesa  con  la
 conferenza  Stato-regioni ed emanato con decreto del Presidente della
 Repubblica sulla base di  limiti  e  principi  ivi  specificati;  fra
 l'altro  si  stabiliva  che i livelli di assistenza fossero "definiti
 nel rispetto delle disposizioni di legge, delle direttive comunitarie
 e, limitatamente alle  modalita'  di  erogazione,  degli  accordi  di
 lavoro  per  il  personale  dipendente  (lett.  a);  che gli standard
 organizzativi e di attivita' fossero "determinati ai fini di  calcolo
 del parametro capitario di finanziamento" e non costituissero vincolo
 organizzativo  per  le  regioni  e  le  U.S.L.;  e  che "il parametro
 capitario per ciascun livello di  assistenza"  fosse  "finanziato  in
 rapporto alla popolazione residente".
    Tale  determinazione non intervenne in tempo utile perche' potesse
 avere effetto, come previsto, dal 1› gennaio 1992.
    Con l'art. 6 del d.l. 19 settembre 1992, n. 384 (convertito dalla
 legge 14 novembre 1992, n. 438) venne nuovamente disposto  che  entro
 il  30  novembre  1992  il Governo, d'intesa con la conferenza Stato-
 regioni, definisse "i livelli uniformi  di  assistenza  sanitaria  da
 garantire  a  tutti  i  cittadini  a  decorrere dal 1› gennaio 1993",
 stabilendo altresi'  che  ove  l'intesa  non  fosse  intervenuta,  il
 Governo  avrebbe  dovuto provvedere direttamente entro il 15 dicembre
 1992.
    Nel frattempo, peraltro, era intervenuta la legge 23 ottobre 1992,
 n. 421, il cui  art.  1  delegava  il  Governo  a  ridisciplinare  il
 Servizio   sanitario   nazionale,  fra  l'altro  definendo  "principi
 relativi ai livelli di assistenza sanitaria uniformi e obbligatori,
  .. espressi per le attivita' rivolte agli individui  in  termini  di
 prestazioni, stabilendo comunque l'individuazione della soglia minima
 di  riferimento,  da  garantire  a  tutti i cittadini, e il parametro
 capitario di finanziamento da assicurare alle regioni e alle province
 autonome per l'organizzazione di detta assistenza, in coerenza con le
 risorse stabilite dalla legge  finanziaria"  (art.  1,  primo  comma,
 lett. g).
    La  delega  veniva  esercitata con il d. lgs. 30 dicembre 1992, n.
 502. Quest'ultimo provvedimento prevede, all'art. 1, primo comma, che
 "i livelli di assistenza da assicurare in condizioni  di  uniformita'
 sul  territorio  nazionale  sono  stabiliti  con  il  piano sanitario
 nazionale, nel rispetto degli obiettivi della  programmazione  socio-
 economica  nazionale  e  di tutela della salute individuati a livello
 internazionale  ed  in  coerenza  con  l'entita'  del   finanziamento
 assicurato  al  Servizio  sanitario  nazionale".  Il  piano sanitario
 nazionale, che ha durata triennale (art.  1,  secondo  comma)  ed  e'
 adottato  dal  Governo d'intesa con la conferenza Stato-regioni (art.
 1, primo comma), per il  triennio  1994-1996  avrebbe  dovuto  essere
 adottato  entro  il  31 luglio 1993 (art. 1, quarto comma, d. lgs. n.
 502/1992).
    Il piano deve  indicare,  fra  l'altro,  "i  livelli  uniformi  di
 assistenza   sanitaria  da  individuare  sulla  base  anche  di  dati
 epidemiologici e clinici, con la specificazione delle prestazioni  da
 garantire  a  tutti i cittadini, rapportati al volume delle risorse a
 disposizione (art. 1, quarto comma, lett. b), d. lgs. n. 502/1992.
    Nel disciplinare  il  finanziamento  del  servizio  sanitario,  lo
 stesso decreto legislativo n. 502/1992 stabilisce fra l'altro che "la
 quota  capitaria  di  finanziamento  da assicurare alle regioni viene
 determinata sulla base di un sistema di coefficienti parametrici,  in
 relazione  ai  livelli  uniformi di prestazioni sanitarie in tutto il
 territorio nazionale", determinati ai sensi della disposizione  prima
 citata,  con  riferimento  ad una serie di elementi specificati (art.
 12, terzo comma); e che le regioni debbono fare  fronte  con  risorse
 proprie   "agli  effetti  finanziari  conseguenti  all'erogazione  di
 livelli di assistenza sanitaria superiori a quelli  uniformi  di  cui
 all'art. 1" nonche' "all'adozione di modelli organizzativi diversi da
 quelli   assunti  come  base  per  la  determinazione  del  parametro
 capitario di finanziamento" (art. 13, primo comma).
    Il piano sanitario non risulta ancora  adottato.  Viceversa  nella
 Gazzetta  Ufficiale  n.  153 del 2 luglio 1993 e' stato pubblicato il
 decreto del Presidente della Repubblica  24  dicembre  1992,  recante
 "definizione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria".
    Il   decreto,  che  risulta  adottato  pochi  giorni  prima  della
 pubblicazione del d.lgs. n. 502/1992, e' stato pero' registrato  solo
 il  5  maggio 1993 dalla Corte dei conti, che peraltro non ha ammesso
 al visto le  parti  del  decreto  medesimo  in  cui  si  indicava  il
 parametro   capitario   di  finanziamento  relativo  a  ciascuno  dei
 "livelli", cioe' delle voci in cui si articola l'allegato al decreto.
 Di cio' e' dato espressamente atto nel testo pubblicato nel  decreto,
 in  cui  alla fine di ogni paragrafo compare la dizione fra parentesi
 "il parametro capitario di finanziamento  non  e'  stato  ammesso  al
 'visto' dalla Corte dei conti". Viceversa alla fine della parte prima
 dell'allegato  (quella  relativa  ai  "livelli uniformi di assistenza
 sanitaria") e' indicato  il  "parametro  di  finanziamento  capitario
 globale lordo", pari a L. 1.504.410.
   Il  decreto  in  questione  cita  nelle sue premesse solo l'art. 6,
 primo comma del d.l. n. 384/1992, ma ignora il  d.lgs.  n.  502/1992
 (sopravvenuto  dopo l'adozione di tale decreto ma ben prima della sua
 pubblicazione): mentre ricorda, sempre nelle premesse,  la  legge  n.
 421/1992  la'  dove  afferma  che nella individuazione dei livelli di
 assistenza "si debba tenere conto  dei  principi  e  criteri  di  cui
 all'art.  1,  primo  comma, lett. q), della legge 23 ottobre 1992, n.
 421", cioe' dei criteri di delega di cui sopra si e' detto.
    Nelle premesse del decreto si da' altresi' atto che "l'intesa  con
 la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
 province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano non e' intervenuta nel
 termine fissato", ma non si fa  cenno  ne'  dei  dissensi  che  hanno
 determinato la mancata intesa, ne' delle ragioni che hanno indotto il
 Governo   a  discostarsi  da  cio'  che  ritenevano  e  chiedevano  i
 rappresentanti delle regioni nella conferenza.
    Tale   provvedimento  e'  lesivo  della  autonomia  della  regione
 ricorrente, per le ragioni di seguito esposte.
    2. - Come si  e'  ricordato,  l'art.  1  del  d.lgs.  n.  502/1992
 stabilisce  che sia il piano sanitario nazionale a indicare i livelli
 uniformi  di  assistenza,  "nel  rispetto   degli   obiettivi   della
 programmazione   economica   nazionale   e  di  tutela  della  salute
 individuati a livello internazionale"  oltre  che  "in  coerenza  con
 l'entita'   del   finanziamento   assicurato  al  Servizio  sanitario
 nazionale" (primo e quarto comma).
    Ora, e' ben vero che il d.P.R. in oggetto  reca  la  data  del  24
 dicembre  1992,  anteriore  di sette giorni all'entrata in vigore del
 d.lgs. n. 502/1992 (avvenuta il 1› gennaio 1993: cfr. art.  20  dello
 stesso  d.lgs.  n.  502).  Ma e' altrettanto vero che tale decreto e'
 stato registrato solo il 5 maggio e pubblicato il  2  luglio,  e  che
 comunque esso espressamente intende valere a decorrere dal 1› gennaio
 1993  (cfr.  il  n. 1 del dispositivo), cioe' dalla stessa data dalla
 quale e' in vigore la nuova disciplina del d.lgs. n. 502.
    In sostanza il decreto  impugnato  interviene  in  una  situazione
 normativa  diversa  da quella da esso assunta a presupposto (cioe' da
 quella derivante dalla sola norma dell'art. 6, primo comma, del d.l.
 n. 384/1992, citato nelle premesse), per il sopravvenire della  nuova
 disciplina  recata dalla legge n. 421/1992 e sopratutto del d.lgs. n.
 502/1992, disciplina  per  effetto  della  quale  dovrebbe  ritenersi
 implicitamente  abrogato  dall'art.  6,  primo  comma,  del  d.l. n.
 384/1992.
    Il decreto afferma bensi' di voler "tenere conto" dei  principi  e
 criteri  direttivi  di  cui  all'art. 1, primo comma, lett. g), della
 legge n. 421/1992, ma trascura il fatto che si tratta di  principi  e
 criteri  diretti dettati dalla legge di delega per essere attuati col
 decreto legislativo delegato, e non gia' in via amministrativa; e che
 un atto amministrativo com'e' il decreto impugnato non puo' - ormai -
 discostarsi  dalla  disciplina  legislativa  di  cui  al  d.lgs.   n.
 502/1992.
    In  sostanza  la  fissazione  dei livelli di assistenza deve ormai
 avvenire con le procedure e nei modi stabiliti dall'art. 1 del d.lgs.
 n. 502, e cioe' col piano sanitario.
    Gia' sotto questo profilo il decreto impugnato appare illegittimo,
 e dunque lesivo dell'autonomia regionale, in quanto non conforme alle
 norme legislative che  disciplinano  la  materia,  e  carente  di  un
 sufficiente e tuttora operante fondamento legislativo.
    3.  -  In  ogni  caso, anche a voler considerare valido fondamento
 legale del decreto l'art. 6, primo comma, del d.l. n. 384/1992, esso
 appare illegittimo e lesivo dell'autonomia regionale in  quanto,  pur
 dando  atto  del mancato raggiungimento dell'intesa con la conferenza
 Stato-regioni, richiesta dalla citata norma  legislativa,  on  indica
 ne'  le  ragioni dal dissenso fra Governo e regioni, ne' i motivi che
 hanno indotto il Governo a disattendere i rilievi  e  le  indicazioni
 delle regioni medesime.
    Anche  quando  la  legge  consente  al Governo, in caso di mancato
 raggiungimento delle intese, di  provvedere  unilateralmente,  l'atto
 governativo  e'  vincolato  evidentemente  ad  un rigoroso obbligo di
 motivazione in ordine alle  ragioni  del  provvedere  in  difformita'
 dalle  indicazioni della Conferenza. L'obbligo di perseguire l'intesa
 risulterebbe totalmente  venificato  se  il  Governo  potesse,  senza
 motivazione  alcuna, semplicemente restare sulle proprie posizioni ed
 adottare  il  provvedimento  in  difformita'  dalle indicazioni della
 Conferenza. L'obbbligo dell'intesa, se pure non giunge a impedire  un
 provvedimento  unilaterale in caso di mancata intesa, richiede almeno
 che si attui una fase di dialogo fra le due parti,  in  cui  l'organo
 che  ha  alla  fine il potere di provvedere (nella specie il Governo)
 deve farsi carico espressamente della posizione  dell'altra  parte  e
 specificare i motivi per i quali non intende attenervisi.
    Anche  sotto  questo  ulteriore  profilo preliminare il decreto in
 questione viola l'autonomia regionale.
    4. - Il contenuto del decreto impugnato e' poi in contrasto con le
 stesse disposizioni  legislative  che  prevedono  la  fissazione  dei
 livelli di assistenza, ed e' lesivo dell'autonomia regionale.
    La  determinazione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria ha
 lo scopo, da un lato, di individuare le prestazioni di assistenza cui
 i cittadini hanno diritto, e che dunque debbono essere  assicurate  a
 tutti  i cittadini, in modo uniforme, in tutte le regioni; dall'altro
 lato, di consentire di calcolare le risorse necessarie per assicurare
 tali  prestazioni,   e   le   corrispondenti   quote   capitarie   di
 finanziamento da assicurare alle Regioni a carico del fondo sanitario
 nazionale.
    Il  decreto  impugnato non assolve a tali funzioni, e in ogni caso
 non vi assolve in modo legittimo e congruo.
    Esso non  definisce  in  realta'  dei  veri  e  propri  "livelli",
 quantitativamente    determinati,   di   prestazioni   sanitarie   da
 assicurare, corrispondenti a diritti degli assististi, ma si limita a
 elencare descrittivamente la  tipologia  delle  prestazioni  previste
 dalle leggi (assistenza sanitaria collettiva negli ambienti di vita e
 di  lavoro;  assistenza  sanitaria  di base, assistenza specialistica
 semiresidenziale e territoriale, assistenza  ospedaliera,  assistenza
 residenziale   sanitaria   a   non   autosufficienti  e  lungodegenti
 stabilizzati), e le categorie di soggetti assistibili.
    I "vincoli" che talora (solo a proposito dell'assistenza di base e
 dell'assistenza  farmaceutica)  vengono  indicati   non   fanno   che
 richiamare   le  disposizioni  legislative  che  prevedono  forme  di
 partecipazione degli assistiti alle spese o  limiti  di  reddito  per
 usufruire dell'assistenza a carico del Servizio sanitario nazionale.
    Anche  gli  "indicatori di verifica talora previsti non contengono
 alcuna determinazione di  tipo  quantitativo  atta  a  determinare  i
 livelli o i limiti delle prestazioni.
    In  sostanza  dunque il decreto non contiene determinazioni atte a
 individuare e delimitare i tipi e  la  quantita'  di  prestazioni  di
 assistenza che debbono essere erogate e quindi il relativo costo.
    Non e' nemmeno chiaro, a livello definitorio, cio' che nel decreto
 viene  inteso per "livelli uniformi di assistenza sanitaria". Infatti
 nel punto 1 del dispositivo del decreto si parla di "livelli uniformi
 di assistenza sanitaria da garantire a tutti i cittadini",  e  dunque
 si configurano i "livelli" come prestazioni costituenti oggetto di un
 diritto  degli  assistiti,  come  tale  da garantire in condizioni di
 uniformita' fin da subito e in tutto il territorio. Ma  poi,  cadendo
 in   contraddizione,  nella  premessa  dell'allegato  al  decreto  si
 configurano i livelli di assistenza "come definizione degli obiettivi
 che  il  servizio  sanitario  nazionale  assume  di   conseguire,   a
 soddisfacimento di specifiche quote di bisogno sanitario, mediante un
 insieme  di  attivita'  e  prestazioni da porre in essere nell'ambito
 della   quota   capitaria  di  finanziamento",  aggiungendo  che  "la
 fissazione dei livelli di assistenza assicura certezza  di  obiettivi
 sanitari nel rispetto delle compatibilita' finanziarie".
    In  relazione  a cio' - prosegue la premessa - i "livelli" vengono
 definiti e specificati nei  seguenti  elementi:  "gli  obiettivi  che
 ciascuna  delle  fondamentali  funzioni  assistenziali  del  servizio
 sanitario nazionale  (macrolivelli)  deve  conseguire,  ovvero  quale
 specifica  quota  di  bisogno  sanitario  della  popolazione  mira  a
 soddisfare";  "l'insieme  delle  attivita'/prestazioni  connesse   al
 conseguimento degli obiettivi definiti, da effettuare in coerenza con
 le  scelte  organizzative adottate da ciascuna regione, conformemente
 alle disposizioni legislative in materia"; "il parametro capitario di
 finanziamento fissato in coerenza  con  le  risorse  stabilite  dalla
 legge  finanziaria,  in  base  ad un modello organizzativo teorico di
 riferimento"; "un insieme  di  indicatori  specifici  ..  individuati
 sulla  base  degli obiettivi via via definiti, orientati a consentire
 la verifica del grado di  conseguimento  degli  obiettivi  stessi  e,
 conseguentemente,  a  periodiche  revisioni  della  formulazione  dei
 livelli uniformi di assistenza sanitaria".
    Tutto cio' - a parte la vaghezza e talora l'oscurita' del testo  -
 contraddice la nozione dei livelli come tipo, qualita' e quantita' di
 prestazioni  da garantire: se si trattasse solo di "obiettivi" che il
 servizio mira a conseguire,  ma  che  possono  essere  o  non  essere
 conseguiti,   e   che  addirittura  sarebbero  soggetti  a  revisione
 periodica sulla base della verifica del grado di conseguimento  degli
 stessi, non sarebbero livelli garantiti in modo uniforme.
    Il  decreto sembra indicare nella quota capitaria di finanziamento
 l'"ambito" in cui le attivita' di assistenza dovrebbero  essere  pre-
 state;   ma   allora   non  di  livelli  uniformi  di  assistenza  si
 tratterebbe, bensi' di livelli di spesa, piu' che  uniformi,  minimi,
 garantiti dal concorso del fondo sanitario nazionale.
    Ma  il  sistema  delle  quote capitarie di finanziamento, previsto
 dall'art.  4,  primo  comma,  lett.  b),  della  legge  n.  412/1991,
 dall'art.  1,  primo  comma,  lett.  g),  della  legge  n. 421/1992 e
 dall'art. 12, terzo comma, del d.lgs. n. 502/1992, non  si  configura
 come  la  prefissione, per cosi' dire astratta, di un livello o di un
 limite minimo di spesa, indipendente dall'entita'  della  prestazione
 da   assicurare;  ma  al  contrario  presuppone  che  si  determinino
 anzitutto le prestazioni  che  si  intendono  assicurare  a  tutti  i
 cittadini,  si  calcoli  poi il costo di tali prestazioni e su questa
 base si  determinino  le  quote  capitarie  di  finanziamento,  salvo
 ridurre   eventualmente   le  prestazioni  garantite  se  le  risorse
 disponibili risultassero insufficienti a sostenere il costo.
    Viceversa il Governo ha omesso di calcolare i  costi  reali  delle
 prestazioni  elencate  nel  decreto,  e  si  e' limitato da un lato a
 elencare queste ultime, dall'altro a fissare un  parametro  capitario
 globale  di finanziamento che costituisce nell'altro che il risultato
 della divisione fra le unita' di popolazione  residente  dell'importo
 complessivo  stanziato  alla  legge  finanziaria:  senza dunque alcun
 serio adeguamento ne' delle risorse alle prestazioni, ne'  di  queste
 ultime alle prime.
    In  tal  modo pero' i livelli di assistenza cessano di svolgere la
 funzione cui per legge dovrebbero essere deputati; di determinare  in
 modo  oggettivo  l'ambito  delle  prestazioni  che le regioni debbono
 assicurare a tutti i cittadini e dunque anche i limiti, al di la' dei
 quali   dovrebbero  manifestarsi  l'autonomia  e  la  responsabilita'
 finanziaria delle regioni, ai sensi dell'art. 13,  primo  comma,  del
 d.lgs.  n.  502/1992,  per  l'erogazione  di  "livelli  di assistenza
 sanitaria superiori a quelli uniformi".
    In realta' si viene cosi'  a  realizzare  un  sistema  in  cui  il
 "contenimento  della  spesa  pubblica"  (o  meglio, dei trasferimenti
 finanziari a carico del bilancio statale)  rappresenterebbe  l'"unico
 obiettivo  per  la  determinazione dei livelli uniformi di assistenza
 sanitaria":  cioe'  quella  deformazione  che  questa  Corte,   nella
 recentissima  sentenza n. 355 del 1993, ha escluso si realizzasse con
 l'art. 1 del d.lgs. n. 502/1992  in  quanto  quest'ultimo  -  secondo
 quanto  affermato  dalla  Corte  - "anche se mantiene la prescrizione
 contenuta nella legge delega relativa alla coerenza delle prestazioni
 assicurate con l'entita' del finanziamento stabilito per il  servizio
 sanitario  nazionale,  impone  altresi'  di  rapportare  i livelli di
 assistenza agli  obiettivi  di  tutela  della  salute  individuati  a
 livello  internazionale, oltreche' di prevedere livelli di assistenza
 che siano comunque garantiti a tutti i cittadini" (sent. cit.,  n.  8
 del considerato in diritto).
    Nulla  di  tutto  cio' pero' e' rinvenibile nel decreto impugnato,
 nel quale i livelli di assistenza non sono  individuati  "sulla  base
 anche  di dati epidemiologici e clinici", come richiesto dall'art. 1,
 quarto comma, lett. b), del d.lgs. n. 502/1992, e l'unico criterio  e
 parametro oggettivamente determinato e' la quota capitaria globale di
 finanziamento,  non  correlata  ad  un calcolo effettivo del costo di
 livelli di prestazioni a loro volta determinate e garantite a tutti.
    5. - L'art. 4, primo comma, della legge n. 412/1991 prevedeva  che
 il  Governo  stabilisse,  congiuntamente,  i  livelli  di  assistenza
 sanitaria, gli "standard organizzativi e  di  attivita'"  determinati
 "ai  fini di calcolo del parametro capitario di finanziamento", e "il
 parametro capitario per ciascun livello di assistenza".
    Parimenti l'art. 13, primo comma, del d.lgs. n.  502/1992  prevede
 che  siano  determinati  i "modelli organizzativi" assunti "come base
 per la determinazione  del  parametro  capitario  di  finanziamento",
 cosi'  che  si possa far carico alle regioni degli effetti finanziari
 conseguenti all'adozione di modelli organizzativi diversi.
    E' d'altra parte evidente come non si possa determinare  il  costo
 delle   prestazioni   se  non  si  assumono  a  base  standard  anche
 organizzativi.
    Ebbene, il decreto impugnato, benche' affermi nelle  premesse  che
 il  parametro  capitario  di  finanziamento e' fissato "in base ad un
 modello organizzativo teorico di riferimento", non fa poi  il  minimo
 cenno a quale sia tale modello di riferimento. Non e' improbabile che
 anche tale lacuna stia a base dei rilievi di illegittimita' che hanno
 condotto la Corte dei conti a non ammettere al visto quelle parti del
 decreto che riguardavano la determinazione del parametro capitario di
 finanziamento per ciascuno "livello".
    Ma in questo modo si rende del tutto insuscettibile di verifica il
 nesso  fra  le  prestazioni  elencate e previste e la quota capitaria
 globale  di  finanziamento,  nonche'  la  congruita'   del   "modello
 organizzativo  teorico"  che  si assume di avere a base. Cio' inficia
 alla  radice  la  legittimita'  di  in  provvedimento,  come   quello
 impugnato,  che pretende di fissare in modo vincolante per le regioni
 i  livelli di assistenza e di determinare il limite del finanziamento
 statale, attraverso la fissazione della quota capitaria.
    Mancando nel decreto i parametri capitari di finanziamento  per  i
 singoli   "livelli",   resta   del   tutto   priva  di  fondamento  e
 ingiustificata la fissazione del parametro di finanziamento capitario
 globale  lordo,  determinato  dal  decreto  in  L.  1.504.410.   Tale
 parametro  globale  avrebbe dovuto risultare dalla somma di parametri
 analiticamente determinati funzione  per  funzione:  in  mancanza  di
 questi ultimi si riduce ad una cifra arbitraria. E poiche' tale cifra
 non  ha  alcun  rapporto reale e dimostrato con i livelli uniformi di
 assistenza, che si e' preteso di determinare,  nel  discende  che  il
 decreto   pregiudica   la   posizione  delle  regioni,  limitando  il
 finanziamento statale attraverso la fissazione di una quota capitaria
 incongrua e non correlata al costo delle prestazioni.
    6. - Questa Corte, nella sentenza  n.  355/1993,  ha  ribadito  il
 presupposto della "necessaria corrispondenza e coerenza effettiva tra
 quote  capitarie  e  livelli uniformi di prestazioni sanitarie"; e ha
 ammesso, sulla base di  tale  presupposto,  che  le  regioni  possano
 legittimamente  essere  chiamate a far fronte "sia ai costi derivanti
 dall'erogazione di livelli di assistenza superiori a quelli  uniformi
 sul piano nazionale, sia a quelli dipendenti dall'adozione di modelli
 organizzativi  diversi  da  quelli  assunti per la determinazione del
 parametro capitario di finanziamento in sede nazionale" (sent.  cit.,
 n.  26  del  considerato  in diritto: illegittimo era invece, come ha
 statuito la Corte, addossasse alle regioni qualsiasi altro  eventuale
 disavanzo di gestione delle unita' sanitarie locali).
    La  fissazione del parametro capitario di finanziamento globale in
 modo sistanzialmente sganciato da un oggettivo e verificabile calcolo
 dei costi, come e' avvenuto col decreto impugnato, significa  proprio
 contraddire  il  presupposto  fondamentale,  sottolineato anche dalla
 Corte, della "necessaria  corrispondenza  e  coerenza  effettiva  fra
 quote capitarie e livelli uniformi di prestazioni sanitarie".
    Ne   discende   l'impossibilita'  di  distinguere  l'ambito  della
 responsabilita' finanziaria  della  regione  da  quello  della  prima
 responsabilita'  dello  Stato,  che  deve  assicurare alle regioni le
 risorse corrispondenti ai costi delle prestazioni garantite  in  modo
 uniforme a tutti i cittadini.
    Il  decreto  impugnato  non determina i parametri di finanziamento
 delle varie prestazioni, e fissa solo un parametro capitario  globale
 disancorato  da  calcoli  reali  di  costi, e in sostanza, come si e'
 detto,  discendente  da   una   semplice   divisione   dell'ammontare
 complessivo  di  risorse  a disposizione per il numero dell'unita' di
 popolazione (infatti la disponibilita' finanziaria  per  il  servizio
 sanitario  nazionale nell'esercizio 1993 e' determinata dal Ministero
 in  complessive  L.  88.395  miliardi,  che  divisi  per   57.782.000
 abitanti,  che  rappresentano  l'entita'  della  popolazione  cui  fa
 riferimento lo stesso Ministero, da' una cifra  pressoche'  identica,
 di  poco  superiore  al  parametro di finanziamento capitario globale
 recato dal decreto impugnato, pari a L. 1.504.410: cfr. doc. 1 p. 3).
    7. - La relazione del Ministero della  sanita'  alla  proposta  di
 livelli  uniformi  di  assistenza  sanitaria 1993, datata 16 dicembre
 1992, e poi trasfusa con  poche  correzioni  nel  decreto  impugnato,
 afferma (a pag. 3) che "in prima determinazione, i parametri capitari
 di  finanziamento  dei  livelli  di  assistenza  1993  possono essere
 derivati  dai  risultati della verifica della spesa per l'anno 1991",
 con determinate rivalutazioni, e su queste basi calcola  i  parametri
 capitari di finanziamento.
    In  realta',  secondo  i calcoli analitici delle regioni, la stima
 ministeriale e' ben inferiore alla realta',  in  ispecie  per  quanto
 riguarda il costo dell'assistenza ospedaliera, quello dell'assistenza
 farmaceutica e quello dell'assistenza specialistica e territoriale.
    Queste  differenze  di  valutazione stanno alla base della mancata
 intesa  fra  Ministero  e  conferenza  Stato-regioni:  il   parametro
 capitario  globale  di  finanziamento, secondo i conti delle regioni,
 avrebbe dovuto essere superiore di  circa  270.000  lire  rispetto  a
 quello indicato dal decreto impugnato.
    Le  stime  ministeriali  sono  viziate,  fra l'altro, dal fatto di
 considerare come spesa storica su base nazionale talune voci di spesa
 afferenti  a  prestazioni  che  vengono  oggi   erogate   in   misura
 sostanzialmente difforme nelle varie regioni (e anzi, vengono erogate
 quasi soltanto in alcune regioni) - come ad esempio e' il costo della
 assistenza   sanitaria   ad   anziani  non  autosufficienti  -  e  di
 suddividere tale spesa su tutta  la  popolazione,  per  pervenire  al
 parametro capitario di finanziamento. E' evidente che in tale modo si
 perviene  a  stabilire  un  parametro  capitario molto piu' basso del
 parametro  necessario  per  finanziare  quello  che  dovrebbe  essere
 (secondo  il  contenuto  dello  stesso  provvedimento  impugnato)  un
 livello uniforme  di  assistenza  prestata  in  tutto  il  territorio
 nazionale.
    In  ogni caso, sta di fatto che gli stessi calcoli tecnici operati
 in sede ministeriale pervenivano a stabilire il  parametro  capitario
 globale  in  una  cifra superiore a quella indicata nel provvedimento
 impugnato.
    8. - Ma anche sotto un altro profilo il provvedimento impugnato si
 rivela incongruo e illegittimo.
    La stessa relazione ministeriale alla proposta  (doc.  1)  ammette
 che  la  spesa sanitaria del 1993, secondo lo sviluppo ipotizzato dal
 medesimo Ministero, ammonterebbe a 90.053 miliardi, mentre le risorse
 a  disposizione  in  base  alla  legge  finanziaria  e   agli   altri
 provvedimenti  legislativi  ammontano a soli 88.395 miliardi, con una
 differenza, dunque, di 1.658 miliardi (cfr. doc. 1, pag. 4).
    La relazione ammette che si rende dunque  necessario  "rivedere  i
 livelli  attualmente  vigenti  e  diminuirne la portata assistenziale
 sino a renderli coerenti e compatibili con  le  risorse  disponibili"
 (ibidem).  Ma  di  tale  riduzione  dei livelli non vi e' traccia nel
 provvedimento  impugnato,  il  quale  fissa  peraltro  un   parametro
 capitario globale (L. 1.504.410) inferiore a quello indicato in detta
 relazione (L. 1.512.582).
    La relazione (pagg. 4-5) indica "due possibili misure" alternative
 per contenere la spesa nei limiti delle risorse a disposizione.
    In  primo  luogo,  sostiene  che riguardo all'assistenza sanitaria
 collettiva in ambienti di vita e di  lavoro  (che  e'  il  primo  dei
 "macrolivelli"  di assistenza indicati nel decreto impugnato) sarebbe
 possibile "graduare meno intensamente il  processo  di  sviluppo  dei
 servizi  e  l'intensita'  degli  accertamenti  analitici", poiche' si
 tratterebbe di "un livello assistenziale in espansione".
    Ma  e'  evidente  come  tale  indicazione  confligga con la stessa
 natura  dei  "livelli  di   assistenza",   che   debbono   costituire
 prestazioni garantite in modo uniforme in tutto il territorio.
    Se  si  sostiene che, invece, il servizio andrebbe "graduato", con
 cio' stesso si ammette  che  non  verrebbe  assicurato  in  tutte  le
 regioni un livello di assistenza uniforme; ovvero che l'onere di tale
 livello  di assistenza, se assicurato in modo uniforme, graverebbe in
 parte sulle regioni in quanto non coperto dal parametro capitario  di
 finanziamento.  In ogni caso, ne risulta una violazione del principio
 fondamentale della congruenza fra quota  capitaria  di  finanziamento
 garantita  dallo  Stato e livelli uniformi di assistenza assicurati a
 tutti i cittadini.
    La relazione ministeriale aggiunge che "e' possibile, di converso,
 incrementare le  attivita'  che  comportano  pagamenti  da  parte  di
 imprese,  allevatori,  industrie,  per  attivita'  di  sorveglianza o
 rilascio di certificazioni ad utilita' del  richiedente"  (ivi,  pag.
 4).
    Ora,  a  parte  che  non  si vede come si possano incrementare per
 decisione dell'ente pubblico attivita' che si  svolgono  a  richiesta
 degli  utenti,  sta di fatto che in tal modo si ipotizza una forma di
 autofinanziamento da parte delle u.s.l., per coprire  una  parte  dei
 costi  sostenuti  per  l'erogazione di prestazioni che debbono essere
 garantite in modo uniforme su tutto il territorio, e  debbono  dunque
 essere finanziate dallo Stato; ancora una volta in contraddizione con
 i  principi  che dovrebbero governare la materia dei livelli uniformi
 di assistenza.
    La seconda alternativa indicata dalla relazione  e'  la  seguente:
 "considerando  il  trasferimento pieno delle potesta' organizzative e
 gestionali alle regioni, appare possibile modulare  adeguatamente  in
 sede  regionale  l'allocazione delle risorse all'interno dei livelli,
 tenendo conto delle  singole  situazioni  territoriali,  in  modo  da
 conseguire una economia di spesa pari all'1,8%" (ivi, pagg. 4-5).
    Ora,  "modulare  in  sede  regionale  l'allocazione  delle risorse
 all'interno di livelli" significa, per parlare chiaro, che dovrebbero
 essere destinate alle singole forme di assistenza somme  inferiori  a
 quelle  che  lo  stesso  Ministero ha calcolato essere necessarie per
 assicurare l'assistenza. E cioe', o ridurre i livelli  di  assistenza
 al  di  sotto di quelli "uniformi" stabiliti dallo Stato (ma con cio'
 la  regione  violerebbe  un  vincolo  posto  alla  sua  attivita'  di
 organizzazione  dei  servizi),  ovvero  destinare  ulteriori  risorse
 regionali a coprire la  differenza:  ancora  una  volta  mettendo  in
 evidenza  la  mancanza  di  congruenza  fra  parametro  capitario  di
 finanziamento e costo effettivo dei servizi obbligatori.
    Senza dire che, come ha rilevato questa Corte  nella  sentenza  n.
 355/1993 (n. 26 del considerato in diritto) e' "obiettivo il rischio"
 che la regione debba impiegare proprio risorse di "autofinanziamento"
 per  coprire  lo  "scarto, presumibilmente elevato, fra i costi delle
 prestazioni assistenziali ipotizzati, secondo un parametro  ottimale,
 dallo  Stato  e  la  situazione  di partenza effettivamente esistente
 nelle unita' sanitarie locali".
    Se il parametro capitario di finanziamento stabilito  dallo  Stato
 e'  inferiore allo stesso "parametro ottimale" calcolato dallo Stato,
 il divario  fra  risorse  assicurate  dal  fondo  nazionale  e  costi
 effettivi  si accentua, e viene ancora piu' gravemente compromesso il
 principio fondamentale,  affermato  dalla  Corte,  della  "necessaria
 corrispondenza  e  coerenza  effettiva  tra quote capitarie e livelli
 uniformi di prestazioni sanitarie".
    Sotto ogni profilo, dunque, il provvedimento impugnato  e'  lesivo
 dell'autonomia  finanziaria,  programmatoria  e  amministrativa della
 regione, in contrasto con gli artt. 119, 117, 118 e 81, quarto comma,
 della Costituzione, in quanto non assicura il  buon  andamento  della
 amministrazione sanitaria.